Rossana Capasso Website

Il pensiero meridiano

Tuesday, 26 March 2013 15:30 Published in Poesia, narrativa e filosofia

"Bisogna essere lenti come un vecchio treno di campagna e di contadine vestite di nero, come chi va a piedi e vede aprirsi magicamente il mondo, perché andare a piedi è sfogliare il libro e invece correre è guardarne solo la copertina. Bisogna essere lenti, amare le soste per guardare il cammino fatto, sentire la stanchezza conquistare come una malinconia le membra, invidiare l'anarchia dolce di chi inventa di momento in momento la strada.

Bisogna imparare a star da sé e aspettare in silenzio, ogni tanto essere felici di avere in tasca soltanto le mani. Andare lenti è incontrare cani senza travolgerli, è dare i nomi agli alberi, agli angoli, ai pali della luce, è trovare una panchina, è portarsi dentro i propri pensieri lasciandoli affiorare a seconda della strada, bolle che salgono a galla e che quando son forti scoppiano e vanno a confondersi al cielo. E' suscitare un pensiero involontario e non progettante, non il risultato dello scopo e della volontà, ma il pensiero necessario, quello che viene su da solo, da un accordo tra mente e mondo.

Andare lenti è rispettare il tempo, abitarlo con poche cose di grande valore, con noia e nostalgia, con desideri immensi sigillati nel cuore e pronti ad esplodere oppure puntati sul cielo perchè stretti da mille interdetti. Andare lenti vuol dire essere fedeli a tutti i sensi, assaggiare con il corpo la terra che attraversiamo. Andare lenti vuol dire ringraziare il mondo, farsene riempire.

C'è più vita in dieci chilometri lenti e a piedi che in una rotta transoceanica che ti affoga nella tua solitudine progettante, un'ingordigia che non sa digerire".

 

Franco Cassano, Il pensiero meridiano

Rousseau, Kant e la menzogna

Wednesday, 20 March 2013 02:00 Published in Fenomenologia del tradimento

Quante facce ha la menzogna? E' menzogna la favola, l'errore, l'inganno, l'astuzia, la frode? E' tutto piuttosto complesso... Dobbiamo fare i conti con una semplificazione necessaria (ma onesta) e partire da un concetto frontale e un po grezzo di menzogna. Sicuramente si può essere nell'errore e dire il falso senza cercare di ingannare e quindi senza mentire. Così come si può ingannare l'altro dicendo il vero! Diciamo che la caratteristica della menzogna è l'intenzionalità, la cattiva fede. Il mentitore sa la verità, almeno se non tutta la verità la verità di ciò che pensa, e conosce la differenza tra ciò che pensa e ciò che dice. L'altra caratteristica della menzogna è il danno.

Rousseau dice che una menzogna che non nuoce né a sé né agli altri, una menzogna innocente, non merita il nome di menzogna. E' solo finzione.

Per Kant la veracità è sempre dovuta a partire dal momento in cui ci si rivolge agli altri. Il dovere di dire la verità è un imperativo sacro. Non esiste nessuna menzogna utile. Nessuna, cazzo.



(andate magari a guardarvi J. Derrida, Breve storia della menzogna, Castelvecchi)


illustrazione di Lorenzo Mattotti

Il tradimento perfetto

Wednesday, 20 March 2013 01:42 Published in Fenomenologia del tradimento

Se il tradimento non è solo un esercizio di sessualità a bassa definizione, io penso che abbia una sua dignità e soprattutto che non debba essere giudicato da figli adulti che, nel condannarlo, pensano di più alla loro quiete perduta che al percorso anche drammatico in cui chiunque di noi, a un certo punto della sua vita, può venirsi a trovare. Tradire un amore, tradire un amico, tradire un'idea, tradire un partito, tradire persino la patria significa infatti svincolarsi da un'appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario, e quindi in un certo senso più autentica e vera. Nasciamo infatti nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se non ne restiamo prigionieri, se a coloro che per primi ci hanno amato e a tutti quelli che dopo di loro sono venuti, un giorno sappiamo dire: "Non sono come tu mi vuoi". C'è infatti in ogni amore, da quello dei genitori, dei mariti, delle mogli, degli amici, degli amanti a quello delle idee e delle cause che abbiamo sposato, una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi solo all'interno di quel recinto che è la fedeltà che non dobbiamo tradire. Ma in ogni fedeltà che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c'è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze, troppa incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d'ombra. Eppure senza questo profilo d'ombra, quella che puerilmente chiamano "fedeltà" è l'incapacità di abbandonare lidi protetti, di uscire a briglia sciolta e a proprio rischio verso le regioni sconosciute della vita che si offrono solo a quanti sanno dire per davvero "addio". E in ogni addio c'è lo stigma del tradimento e insieme dell'emancipazione. C'è il lato oscuro della fedeltà che però è anche ciò che le conferisce il suo significato e che la rende possibile. Fedeltà e tradimento devono infatti l'una all'altro la densità del loro essere che emancipa non solo il traditore ma anche il tradito, risvegliando l'un l'altro dal loro sonno e dalla loro pigrizia emancipativa impropriamente scambiata per "amore". Gioco di prestigio di parole per confondere le carte e barare al gioco della vita. Il traditore di solito queste cose le sa, meno il tradito che, quando non si rifugia nella vendetta, nel cinismo, nella negazione o nella scelta paranoide, finisce per consegnarsi a quel tradimento di sé che è la svalutazione di se stesso per non essere più amato dall'altro, senza così accorgersi che allora, nel tempo della fedeltà, la sua identità era solo un dono dell'altro. Tradendolo l'altro lo consegna a se stesso, e niente impedisce di dire a tutti coloro che si sentono traditi che forse un giorno hanno scelto chi li avrebbe traditi per poter incontrare se stessi, come un giorno Gesù scelse Giuda per incontrare il suo destino. Sembra infatti che la legge della vita sia scritta più nel segno del tradimento che in quello della fedeltà, forse perché la vita preferisce di più chi ha incontrato se stesso e sa chi davvero è, rispetto a chi ha evitato di farlo per stare rannicchiato in un'area protetta dove il camuffamento dei nomi fa chiamare fedeltà e amore quello che in realtà è insicurezza o addirittura rifiuto di sapere chi davvero si è, per il terrore di incontrare se stessi, un giorno almeno, prima di morire, con il rischio di non essere mai davvero nati.

 

Umberto Galimberti

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ANDARE AL CINEMA + TANGO + QUEI GIORNI DOVE L'UNICO PROBLEMA E' SCEGLIERE TRA UN THE E UN CAFFE' + TORTA DI MELE + TROVARE LE COSE QUANDO NON LE CERCO + GATTI + CERTI BELLISSIMI ERRORI + LE MALINCONIE CHE DURANO GIORNI + LIBRI + IL SOLE ADDOSSO + I RICORDI DEI RICORDI

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