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L'altra metà di Parma. Interviste al femminile: Rossana Capasso

L’immagine simbolo di questa sezione è Circe, la maga che incantò Ulisse, raccontata dalla mano di una giovane illustratrice parmigiana, Rossana Capasso. Il quadro fa parte di una serie di ritratti femminili (in compagnia di Circe ci sono Emma Bovary, Anna Karenina, Ophelia), un lavoro che Rossana porta avanti da diversi anni e che ancora non si è esaurito. Ne abbiamo parlato con lei.

Rossana Capasso, classe 1973, una laurea in Filosofia e il lavoro di grafica pubblicitaria. Come sei arrivata ai ritratti femminili?

E’ un percorso personale, che parte dal mio essere illustratrice e da una ricerca sul mito. Mi è sempre venuto naturale legarmi ad un testo, per completarlo con le immagini. L’illustrazione è una sorta di commento. Di didascalia. E’ un rimando. E’ una narrazione allargata dove l’immagine reinventa o tradisce il testo e viceversa. Ho sempre avuto una grande passione per le storie, da cui è nato l’amore per la mitologia. Dalla letteratura al mito il passo è breve, perché nella mitologia si trova l’archetipo di ogni narrazione

Come mai ti sei concentrata sulla modalità del ritratto?

Trovo che il ritratto sia l’estrema sintesi di una storia. Mi piace togliere mano a mano i dettagli, per arrivare all’essenziale. Credo che maggiore è la sintesi maggiore è la forza della storia che si sta raccontando. Nei miei ritratti non ci sono oggetti, sfondi, ambienti. Sono i volti che raccontano la storia di un personaggio: uno sguardo, una bocca, la distanza di un occhio dal naso.

Protagoniste dei tuoi ritratti sono, in particolare, le donne.

Mi sono concentrata sui personaggi femminili perché la mitologia è ricca di donne che hanno attirato la mia attenzione. Non me ne vogliano gli uomini, ma le donne narrativamente sono personaggi più ricchi, complessi, più interessanti.

Come sei arrivata a scegliere “le tue donne”?

Ho scelto i personaggi che mi hanno colpita di più, in genere sono quelli con un vissuto tormentato… o forse semplicemente biografico. Hanno accompagnato un mio percorso personale - che ancora non si è esaurito -, perché ognuna di loro è arrivata in un momento particolare della mia vita; per dirmi qualcosa, per esprimere ciò di cui in quel momento avevo bisogno. Sono modelli di femminilità, che in qualche modo mi appartengono e spero possano accompagnarmi ancora a lungo: credo che le mie donne abbiano ancora qualcosa da dirmi.

E Circe?

Circe è nata insieme a Penelope; rappresentano due aspetti della femminilità. L’amante seduttiva e la moglie fedele, la femminilità attiva e quella passiva: sono due poli diversi dell’essere femminile. Mi piace creare relazioni tra “le mie donne”, mi piace che una rimandi all’altra.

E tu ti senti più Circe o Penelope?

 

Tutte e due, come penso capiti a molte donne; credo che si debba essere tutte e due.

 

Accanto all’illustrazione, Rossana Capasso ha iniziato a sviluppare anche il linguaggio della fotografia. Come è nato questo nuovo percorso? 

 

L’illustrazione per me rappresenta l’amore per le storie, per la scrittura. E’ il mio linguaggio biografico, nel senso che quello che ho disegnato racconta il mio rapporto con il mondo. La fotografia, invece, racconta il mio gioco con il mondo. E’ puro divertimento, anche se questa passione si è tradotta in tre mostre negli ultimi due anni. Ho sempre nutrito grande interesse per l’immagine fotografica; lavorando come grafica pubblicitaria era inevitabile che entrasse nella mia vita. Fino a un paio di anni fa però vivevo la fotografia in modo saltuario, non sistematico. Diversamente dalle mie illustrazioni, non ho mai pensato un progetto che guidasse il mio fotografare. Poi ho avuto l’occasione di confrontarmi con amici, fotografi esperti che fanno questo di professione, ed è iniziato il mio percorso di ricerca. 

 

Un percorso che è nato e si è sviluppato attorno a quella che è un’altra tua grande passione: il tango argentino (Rossana è protagonista di un documentario sul tango, Ad occhi chiusi, http://www.adocchichiusi.com/, della regista parmigiana Simonetta Rossi).

 

Sì: il tango è diventato il mio progetto fotografico. Ho raccolto gli scatti fatti nelle milonghe (i luoghi in cui si balla il tango argentino, n.d.r.) del Centro e del Nord Italia e ne ho fatto una mostra, che è già stata presentata ad Asti, venerdì inaugurerà a Firenze, poi Udine e ad aprile sarà a Salsomaggiore, in occasione del festival di tango argentino.

La mostra si intitola “Sombras de tango”: “Ombre di tango”.

Esatto. Come nell’illustrazione, anche nella fotografia amo lavorare di sintesi. Nelle foto in bianco e nero la sintesi è portata all’eccesso, il contrasto è esasperato, tanto da eliminare il contesto e parte del soggetto stesso, dando vita a una intensa danza ballata al buio, col buio. Donne in compagnia di fantasmi.

Tornano ancora le donne, quindi.

Sì, ma in questo caso non è una scelta e non è vincolante. Non sono il mio unico soggetto, ci sono anche ritratti di uomini nei miei scatti. Anche se devo ammettere che la donna comunque ancora una volta attira maggiormente la mia attenzione… il visto estatico, gli occhi chiusi; quando una donna balla tango è come persa in un altro mondo. Un mistero irresistibile. Diventa bella, al di là di ogni canone estetico.

Uno sguardo, quello di Rossana, che racconta in due righe l’essenza del tango argentino: due corpi, un uomo e una donna, che comunicano attraverso i passi e la musica. Nel tango argentino i ruoli maschile e femminile sono ben definiti: l’uomo guida e la donna segue. E’ l’uomo che ha in mano le redini, che decide che passi fare, in che direzione andare e lo comunica alla donna attraverso “la marca”, cioè i movimenti delle spalle, delle braccia, del bacino. E mentre l’uomo si assume l’onere di “pensare alle questioni pratiche”, la donna può abbandonarsi all’abbraccio del tango, liberando tutta la sua femminilità.

Ci sono molti pregiudizi, stereotipi riguardo al tango - dice Rossana -: chi se lo immagina come un ballo seduttivo, con tanto di rosa in bocca e chi lo vede come un ballo maschilista. Il tango, in realtà, è molto di più e nel tango la donna ha un ruolo importantissimo: quello della traduzione.

Puoi spiegare meglio in concetto?

La donna nel tango è ermeneutica: traduce in movimento l’intenzione dell’uomo. Un ruolo importantissimo ed estremamente seduttivo. Il tango mi ha fatto scoprire una femminilità che è solo superficialmente passiva, perché l’apparente passività diventa altro. E’ la dimensione dell’ascolto, che non è restare fermo in attesa di qualcosa.

 

Laura Ugolotti, Gazzetta di Parma, 1 Febbraio 2011

 

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